Il giro del mondo a 80 all'ora

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Il giro del mondo a 80 all'ora
Luca Capocchiano
La Caravella Editrice

“Che cos'è l'impossibile? Impossibile è un concetto relativo: una cosa viene considerata impossibile fino a quando non arriva qualcuno, magari un pazzo o un deficiente, che ci prova e ci riesce. Da quel momento quella cosa smette di essere impossibile.”

Con queste parole Luca Capocchiano ha chiuso il suo intervento ai TEDx di Genova, nel novembre del 2016. Un paio di anni prima, nell'ottobre del 2014, Luca era partito in sella al suo TS proprio da Genova, la sua città, con il proposito di compiere il giro del mondo “a 80 all'ora”, parafrasando il titolo del famoso romanzo di Jules Verne. Che fare il giro del mondo in Vespa non sia qualcosa d'impossibile l'aveva già ampiamente dimostrato – e raccontato - il compianto Giorgio Bettinelli. Luca quindi non è un pazzo, e mi sento di dire con ragionevole certezza che sia tutt'altro che un deficiente. È invece una persona caparbia e determinata nel raggiungere gli obiettivi che si prefigge, anche se il suo approccio a questa grande impresa non si può dire sia stato pianificato nei minimi dettagli, e potrebbe fare pensare il contrario.


Luca può essere definito un viaggiatore old school: niente GPS o TomTom ma mappe cartacee per cercare la strada. Zero abbigliamento tecnico, nemmeno i guanti, che erano di pile. Nessun assortimento di carte di credito nel portafoglio ma una normalissima tessera bancomat, il più delle volte sputata con sdegno dagli ATM di ogni paese. Stesso approccio per la sua Vespa, senza nemmeno il parabrezza a proteggerlo, il che sarebbe il meno visto che su quella Vespa, spesso e volentieri, fanale e freni non funzionavano.

A leggere queste pagine si percepisce il progressivo aumento di consapevolezza del suo essere viaggiatore. Non che gli mancasse esperienza, di viaggi ne aveva già fatti parecchi, ma questo suo giro del mondo è stato proprio un voler gettare il cuore oltre l'ostacolo per spingersi in una dimensione personale che ancora gli era sconosciuta. Le prime settimane del suo cammino, dall'Italia fino alla Turchia, ricordano molto gli stessi chilometri percorsi nei primi passi del Bettinelli neo Vespa-globetrotter, in viaggio “da Roma a Saigon”. C'è la stessa ingenuità, lo stesso stupore per ogni piccola vicenda del viaggio. Nei primi capitoli ogni situazione è descritta minuziosamente e la narrazione può risultare un po' leziosa e ridondante, ma con il procedere del cammino la sua sensibilità si affina, focalizzandosi su quelli che sono gli aspetti davvero meritevoli di essere riportati. Luca è un viaggiatore solitario e nel suo racconto è inevitabile che ci sia tanto di personale, e in questo dimostra di essere un reporter onesto, senza alcuna remora nel raccontare quelle che sono le sue debolezze e i suoi  errori. Dall'improbabile equipaggiamento all'errata valutazione delle distanze, senza nascondere i momenti di sconforto per i problemi meccanici che il suo TS, complici le condizioni infernali delle strade che incontra, gli garantisce con generosa regolarità.

“Non ho i ricambi cazzo, non ho portato con me neppure un pistone di scorta, neppure due fasce! La fretta di partire, maledetta consigliera. Maledico la mia disorganizzazione, mi insulto e vorrei menarmi...”.

Forte della sua determinazione per Luca ogni tappa portata a termine ha il sapore della conquista, e più la sua Vespa lo porta lontano più cresce lo stupore per i traguardi raggiunti:

“Sono arrivato fin qui dall'Italia con una giacca da snowboard, uno scaldacollo e i guanti da sci (…) uno zaino e un borsone non impermeabili, che quando piove mi costringono a fasciare tutto con i sacchi neri della spazzatura”.

È un viaggiatore solitario ma quando si ferma non è mai solo o abbandonato a se stesso, a ogni sosta c'è sempre qualcuno che si fa avanti per semplice curiosità, molto spesso per offrire aiuto. Un'umanità differente per lineamenti, colore della pelle o religione a cui fa da denominatore comune la gentilezza e una disponibilità disarmante, quando l'aiuto insperato arriva magari dagli ultimi tra gli ultimi. Ma il vero compagno di viaggio di Luca è il suo TS, la sua Vespa pitturata di giallo che non sposta soltanto il suo corpo e il suo bagaglio ma anche la sua anima, e quando un rapporto è tanto stretto è normale condividere tutti i momenti, quelli della gioia e quelli della rabbia:

“Basta maledizione, basta! Ringhio al TS che, vigliacco, tace, ma il suo silenzio omertoso mi imbestialisce ancora di più. (…) Lo voglio punire! Gli ho già dato un sacco di cazzotti nei giorni precedenti e l'ultima volta pensavo di essermi rotto un metacarpo. (…) Lo colpisco ancora sulle scocche e sullo scudo anteriore, mentre il TS incassa come il miglior Cassius Clay...”.

Odio e amore: “Guardo il TS. Quelle ruotine hanno rotolato davvero per un bel pezzo di crosta terrestre per portarmi fino a qui. Lenta e cocciuta, ostinata e in affanno, zoppa e tenace, in qualche modo avanti sempre”.

Questo libro nonostante le sue 478 pagine, come riporta la dicitura in copertina narra solo  la prima parte del giro del mondo di Luca Capocchiano, dalla partenza di Genova all'arrivo a Singapore, e si conclude con l'imbraco del TS alla volta dell'Australia. In un prossimo futuro quindi appuntamento in libreria per leggere il prosieguo di questa grande avventura, prima attraverso l'Outback australiano, per poi balzare in Sudamerica e dopo averne percorso buona parte superare l'Atlantico alla volta dell'Africa, quindi Europa per andare a chiudere il cerchio a Genova da dove era partito undici mesi prima.



“Io quell'orizzonte sono disposto a sfondarlo, ad andarci a sbattere contro se necessario, ma non permetterò a niente e a nessuno di fermarmi”.

Il giro del mondo a 80 all'ora
Luca Capocchiano
La Caravella Editrice

Nel video da YouTube l'intervento di Luca Capocchiano ai TEDx di Genova, tutto fa guardare!

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CHERNOBYL - Viaggio in Vespa nel feudo del "Cesio 137"

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(segnalazione)
CHERNOBYL
Il Viaggio in Vespa nel feudo del "Cesio 137"
Massimo Berlenga

brano tratto dalla pagina Facebook dedicata:

"Parto. Parto di nuovo. All’inizio, nel 2016 – quando per la prima volta pensai al viaggio verso Nord e decisi che, in qualche modo, lo avrei legato “ai ragazzi del CRO”, non avevo idea che ci sarebbe stato un seguito. Anzi, al ritorno, la fatica fisica era stata molta e mi ero detto che non ce l’avrei fatta a replicare. Non che avrei abbandonato, abdicato, lasciato, quell’idea di partecipare alla vita più difficile di altre persone. Infatti, in questi anni, ho avuto la fortuna di aver molte esperienze con persone e realtà “diverse”. Ho incontrato un carico di umanità e di storie che mi hanno sempre lasciato un segno sulla lavagna delle emozioni. Amo guardare, ascoltare, curiosare, vedere, sentire. Mi piacciono i luoghi, che a volte sono meravigliosi senza altra aggiunta. Ma più spesso mi piacciono le persone che li abitano, con le loro storie. E questa è per me la strada. Come sempre, quando cominci a camminare, con qualcosa in mente, non sai cosa succederà. Così, se quello che ho disegnato, con la matita rosa come si faceva una volta cerchiando i punti importanti, è un tragitto con delle annotazioni di programma, e conosco il punto di arrivo, tutto il resto non lo so. So solo che, come in tutte le cose della vita, quando inizi, il mondo si apre. E il tuo progetto, che pareva definito, si riapre senza confini.

Sono pronto, quindi, Per ripartire.

Se, come dicevo, nel 2016, la spinta era stata quella di portare un sorriso – per un attimo, poi – ai “bambini del CRO” (e grazie a tutti voi che mi avete aiutato a donare questo impagabile sorriso), qualcosa adesso si è aggiunto. Sarà che quando ti avvicini a mondi prima sconosciuti, alcuni pensieri diventano più semplici, meno retorici. Non c’è bisogno di colorare nulla. E’ tutto lì. Così mi è venuto quasi naturale tirare una riga tratteggiata tra Aviano e Chernobyl. Il grande disastro che si è trascinato sui cieli di mezza Europa, lasciando cadere a terra le sue polveri radioattive e mortali. Un santuario dell’incuria (la chiamo così) umana a 2000 km da casa. Come molti altri luoghi nel mondo. Perché è questo che ho pensato molte volte: già si soffre per cose che conosciamo poco. Ma soffrire per la nostra stessa mano, mi pare una follia. Ed è per me un’incomprensibile follia una delle tappe che ho cerchiato in rosso, sulla mia mappa: i campi di concentramento di Auschwitz e Birkenau.

Ecco, questo sarà il viaggio.

Che cosa mi aspetto? Mi aspetto di imparare ancora di più a vivere il momento. Perché il tempo è una dimensione inventata. A raccogliere tutto il bello che mi circonda. A dire “ai ragazzi del CRO” di tenere duro. Di provarci ancora. Di non mollare. Che io ci sono. Che noi ci siamo. E mi piacerebbe, con questa mia storia, semplicemente aiutare a colorare un po’ questi giorni. Perchè i colori danno forza".


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