“... mi basta un colpo di pedivella per sentire il brontolio inconfondibile del suo motore e far riaccendere, è proprio il caso di dirlo, un amore. Un canto profumato di miscela che sa di viaggi in Grecia, mare, vento sulla faccia, nottate di cronaca nera, braccia strette intorno al petto e mille ricordi”.
Un giornalista, protagonista di un romanzo, che per le sue indagini gira in Vespa... questo plot narrativo non vi ricorda qualcosa? Chi è uso frequentare questo Weblog avrà già capito: il sottinteso è riferito alle pagine di Michele Navarra con i casi dell'avvocato Gordiani con il suo fido PX bianco, ma anche alle avventure dell'hacker Radeschi in sella al suo vespino giallo firmate da Paolo Roversi, così come ai romanzi di Bruno Morchio con le gesta di Bacci Pagano con il suo bel vespone amaranto.
Ad aggiungersi ai sopra citati ecco a voi una straordinaria new entry al suo debutto nel panorama del genere noir-vespistico nostrano che, dopo il Lazio e le strade capitoline di Navarra/Gordiani, la Lombardia delle scorribande padano-meneghine di Roversi/Radeschi e la Liguria dei genovesi Morchio/Pagano, mi consente di andare a conficcare un altro spillo segnaposto nella mappa delle Regioni in cui sono ambientate pagine di narrativa giallo-vespistica: la Puglia e la zona salentina, con questa indagine giornalistica di Ettore Santi, cronista di nera ma soprattutto fiero proprietario di Bianca, una Vespa PX 200 modello Arcobaleno del 1984, il protagonista di LA FEROCIA DEI VINTI, pagine davvero godibili frutto della penna di Antonio Morrone.
“Procedo lentamente, coccolato dal suono cadenzato del motore, sotto un cielo bizantino che indolente e beffardo è sovrano di tutte le bandiere che invasori e conquistatori hanno tentato di imporre a questo lembo di terra sospesa tra due mari. (…) Questo è il cuore della Grecia salentina, uno dei luoghi più magici ed esoterici del salento e dell'intero meridione, intriso di misteri e leggende...”.
Sento di dovermi complimentare con i redattori di Capponi Editore per il lavoro di scouting che oggi ci permette di leggere questa che è l'opera prima di Morrone, al suo debutto come romanziere ma già affermato professionista dello scrivere.
“Lungo la strada del ritorno Bianca sembra scrivere sull'asfalto un nuovo capitolo di una storia d'amore in cui i protagonisti siamo noi due, lo sfondo è la bellezza del Salento e la colonna sonora le canzoni dei Negramaro che cantiamo a squarciagola...”.
La trama è ben riassunta dalla sinossi editoriale:
Ettore Santi è un giornalista innamorato del proprio lavoro e della verità. Una mattina, mentre è impegnato in uno dei suoi consueti allenamenti di corsa, trova una foto che lo proietta in una tragica vicenda accaduta trent'anni prima, la sparizione di un bimbo di soli sette anni: Antonio. Un mistero rimasto irrisolto, che rimanda agli anni più bui della Sacra Corona Unita, tra agguati e faide sanguinarie. Sullo sfondo di un Salento fatto di contrasti e chiaroscuri Santi ci conduce, a bordo di Bianca, la sua inseparabile Vespa del 1984, alla scoperta di una terra bellissima, la Grecìa salentina, raccontando ascesa e declino di una generazione criminale sconfitta dalla storia e dalla giustizia degli uomini. Un romanzo in cui le vicende dei protagonisti si intersecano con i fatti di cronaca e i grandi avvenimenti della Storia, scandito da grandi amicizie e luoghi pieni di magia, corse a perdifiato e amori difficili, musica e libri, cibo e racconti, misteri e antiche tradizioni.
La narrazione si alterna su due piani temporali che viaggiano in parallelo alla distanza di trent'anni, l'estate del 1993 quando si consumò il delitto che diventa il “cold case” su cui poi, nella torrida estate del 2023 si troverà a indagare Ettore Santi.
Credo di poter dire che in questo romanzo la Vespa è a tutti gli effetti un personaggio con un suo ruolo ben delineato, piccolo ma non per questo marginale, un aspetto davvero apprezzabile di questo racconto. Chi mi segue sa che non ho mai fatto mistero della mia amarezza quando mi trovo a leggere volumi ascrivibili al genere giallo-noir vespistico in cui poi - ahimè - scopro che la Vespa, ostentata nell'immagine di copertina e spammata ovunque dalla promozione, viene poi umiliata con citazioni in dosaggio omeopatico e la superficialità di una narrazione distratta (ogni riferimento all'ultimo libro di Roversi/Radeschi non è per nulla casuale).
In questo romanzo di Morrone invece, con molto piacere, si gode dell'esatto contrario nonostante non ci sia nessuna Vespa sbattuta in copertina, nemmeno nel titolo o nel sottotitolo, se ne trova giusto una fugace citazione nella sinossi riportata nell'aletta.
La Vespa la si incontra solo una volta che ci si immerge nella lettura del romanzo, e la considerazione che le riserva l'autore, con le sue parole, in tante sue pagine, è una dimostrazione non solo di grande rispetto ma anche d'amore verso questo scooter che, per tanti che lo possiedono – o che ne hanno posseduto uno, rappresenta molto più che un banale mezzo di trasporto.
“Il piccolo autocarro si fa sotto minaccioso, poi improvvisamente aumenta la velocità, si affianca e mi taglia la strada, provo a evitarlo ma perdo il controllo della Vespa, che mi disarciona come un cavallo imbizzarrito. Bianca scivola su un fianco, mentre io cado battendo violentemente la spalla destra sull'asfalto. (…) Una persona si avvicina per prestarmi soccorso, è un uomo di cinquant'anni, che mi aiuta a rialzarmi (…). … il vespone si riaccende al secondo colpo di pedivella, a dimostrazione – ancora una volta – dell'eterna affidabilità di questo mezzo dalle ruote piccole e dal carattere forte, di quelli che non ti abbandonano mai”.
Andrea Morrone |
Se, come usa dirsi, il buongiorno si vede dal mattino, be', sono convinto che questa avvincente indagine di Ettore Santi, con i suoi vagabondaggi in sella a Bianca attraverso l'aspra bellezza della Grecia salentina, sarà solo il primo episodio di una serie di romanzi che gli auguro lunga e mi auguro altrettanto appassionanti.
Attenzione, piccolo spoiler: nell'ultima pagina questo romanzo regala anche un piccolo coup de théâtre, una sorta di indizio hitchcockiano con l'intento - forse - di rivelare qualcosa al lettore più attento. Nello svolgersi di un dialogo tra Ettore Santi, protagonista del romanzo, e suo padre, questi si rivolge al figlio chiamandolo “Andrea”, nome di battesimo dell'autore... un dettaglio che mi piace pensare sia magari un involontario lapsus, un “refuso” che svela ciò che il lettore già sospetta, ovvero che Ettore Santi è in realtà l'alter ego dell'autore.
In collaborazione con Capponi Editore, che ringrazio per la disponibilità.